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Diario di viaggio a tema schizofrenia, allucinazioni, psichiatria, tribunali e soluzioni di recovery.

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sentire le voci

GIORNO 172: clozapina e sentire le voci

Federico Bergna · 30/01/2019 · Lascia un commento

Un uditore di voci può ritrovarsi a udire dalle 2.000 fino anche a 20.000 parole, imposte dalle voci. (dato fornito da testimonianze dirette che raccontano di come alcuni uditori, nelle fasi peggiori, colloquino continuamente con le voci per 12/18 ore consecutivamente. Per colloquiare si intende anche solo un dialogo interno del soggetto che risponde a voci che sente realmente).

Il dato è molto realistico. Per farti capire quanto possa essere invalidante la quotidianità di un uditore, guarda la foto allegata a questo post. Sono esattamente 1000 parole, che riempono il classico foglio A4 che si utilizza per stampare documenti.

Se tu dovessi stampare questo foglio, e leggere tutto di un fiato le frasi scritte, impiegheresti anche meno di 5 minuti per leggere tutto il foglio.

Ma le voci non si comportano in questa maniera ovvero non “scaraventano” 1000 parole tutte di un colpo per poi non farsi più sentire.

Immagina questo: spalma queste 1000 parole udite, in 60 minuti (un’ora). Mediamente l’uditore sentirà circa 16 parole ogni minuto, frasi alle quali l’uditore può NON rispondere oppure RISPONDERE sia vocalmente, sia con un dialogo interno.

Immagina quindi che per un’ora intera, ogni 60 secondi, l’uditore sia costretto a udire e spesso a controbattere e rispondere, ad una frase lunga 16 parole che mediamente, arriva ogni minuto.

Se ipoteticamente una giornata è fatta da 8 ore di sonno (ma spesso anche meno) sarà facile comprendere come dopo 16/18 ore di veglia, un uditore possa arrivare a sentire anche fino a 18.000/20.000 parole al giorno dalle voci.

In altri casi, la quantità e la frequenza delle voci, è nettamente inferiore, anche molto meno della metà. Per fare un esempio, un uditore di voci che sta attraversando un buon periodo emotivo dato da un controllo ed una consapevolezza di questo fenomeno, può arrivare a sentire anche solo 500 parole “spalmate” durante l’arco della giornata. Anche meno.

Va da sè che il parametro “frequenza delle parole udite”, è un riferimento importante dal quale partire per capire indirettamente, il grado di disagio di un uditore di voci.

E’ estremamente importante quindi, attuare delle vere e proprie strategie che mirino in egual modo, a:

– ridurre la frequenza e la quantità delle parole udite ad un livello accettabile per l’utente, in modo tale che la loro frequenza, non impedisca al soggetto di relazionarsi con l’ambiente esterno, le persone e il proprio dialogo interno nel prendere decisioni quotidiane, anche banali, durante la propria routine giornaliera.

– comprendere le sensazioni che si provano quando si sentono le voci. Tali sensazioni posso spaziare anche in sentimenti nettamente contrapposti tra “felicità nel sentire che la voce dice quello che dice” alla “paura o addirittura a sensazioni di terrore” che l’uditore prova nel sentire le frasi delle sue voci.

Arrivare ad un buon compromesso dove “frequenza delle voci sentite” e “gestione delle emozioni provate in rapporto alle voci sentite” è la strada da perseguire per un uditore di voci.

E’ un dato di fatto, in qualunque ambito, che nel momento in cui abbiamo il pieno controllo di noi stessi o delle situazioni che ci accadono, siamo pienamente sicuri di noi stessi.

Nel caso opposto, quando non abbiamo il controllo di qualche cosa, dobbiamo sforzarci per cambiare alcune dinamiche per recuperare sicurezza in noi stessi e affrontare quel qualcosa di diverso che non ci aspettavamo.

Per chi non conosce gli uditori di voci, provi a considerare quanto segue:

– un uditore di voci, può sentire le voci anche mentre parla realmente con un interlocutore di fronte a lui. Dedica quindi parecchie risorse per concentrarsi a non sentirle e seguire la persona di fronte, spesso, non riuscendoci.
– anche i gesti più banali fatti durante il giorno (sbucciare un frutto, intingere un biscotto nel caffè latte, chiudere una porta piuttosto che socchiuderla, e via dicendo) influenzano pesantemente l’uditore in quanto la voce, può giungere nel mentre del gesto che si compie, poco prima o anche dopo il gesto compiuto.

LA MIA VALUTAZIONE SULLA INUTILITA’ DI UN ANTIPSICOTICO ATIPICO COME LA CLOZAPINA

Quando un uditore di voci sente per la prima volta in vita sua una voce, può (non necessariamente) cadere in un barato chiamato letteralmente “TERRORE”.

Non in tutti i casi ma nella maggior parte, le fasi possono snocciolarsi come segue:
1) incredulità di aver sentito una o più voci;
2) consapevolezza di sentirle ed essere totalmente sicuro che non sono allucinazioni;
3) fase di ansia, paura per non trovare una spiegazione in ciò che gli sta succedendo;
4) fase di terrore e perdita del controllo delle proprie emozioni mentre arrivano le voci ed anche mentre non le sente;
4) isolamento totale nei confronti dei famigliari;
5) isolamento totale al di fuori del nucleo famigliare;
6) fase in cui si prova a reagire a quanto dicono le voci in quanto l’uditore le percepisce effettivamente reali. Fase che comprende dire o compiere azioni verso cose o persone che possono anche compromettere l’integrità e la sicurezza sia dell’uditore, sia delle cose o persone alle quali l’uditore si rivolge.

Quando un uditore giunge alla 6° fase, incontra la psichiatria (T.S.O. o T.S.V. a seconda della gravità di pensieri e azioni fatte dall’uditore verso se stesso, verso altre persone o verso oggetti).

Solitamente poi seguono uno o più ricoveri nell’arco dello stesso anno legato all’esordio (esordio inteso come giorno in cui l’uditore viene scoperto a parlare con le voci) fino ad altri ricoveri nei successivi 3/6 anni fino a giungere all’ultimo stadio farmacologico della Clozapina e diagnosi di schizofrenia cronica.

E’ chiaro che in una situazione estremamente delicata dove l’uditore parlando con le voci, minaccia l’integrità di cose o persone è difficile affrontare la situazione in quanto, un familiare può constatare quanto segue:

– l’uditore può solamente minacciare ma senza esser mai passato ai fatti concreti;
– l’uditore può effettivamente spaccare oggetti o minacciare la salute di persone all’interno o all’esterno della famiglia;
– in alcuni casi, può passare dalle ipotesi di mettere in pratica quello che vuole a compierlo;

Cosa faresti tu in una situazione simile non conoscendo minimamente le dinamiche di un uditore di voci come spiegato a inizio post?

Ora parliamoci chiaro… immagina un ragazzotto robusto alto i metro e novanta per 90kg che si avvia verso l’uscio di casa con l’intento di far male a qualcuno ed in una situazione dove in casa magari è presente solamente una mamma o un papà, magari di una certa età. Cosa fai?

– lo placchi e lo butti a terra?
– lo leghi fino a quando si calma?

Sono situazioni estremamente difficili, dolorose e imprevedibili. L’unica ipotesi possibile per placare una situazione d’emergenza simile è sedare pesantemente l’uditore.

Sedazione = impedimento fisico nel compiere azioni deleterie.

Ad oggi vorrei che non si arrivasse mai ad una soluzione così dirompente come l’assunzione di uno psicofarmaco dagli innumerevoli effetti collaterali fisici e psichici per tamponare velocemente e pesantemente certe situazioni ma la realtà dei fatti è purtroppo questa, in molte, moltissime famiglie alle prese con questi esordi.

E’ giusto? E’ sbagliato? Non posso darmi una risposta ora che siamo ai posteri. Probabilmente se avessi avuto moltissimi anni fa le conoscenze e l’esperienza che ho adesso con gli uditori di voci, posso giurare su quanto mi è rimasto di più caro nella mia vita, che non ci sarebbe stato nemmeno il famoso “esordio psicotico acuto” inteso come esordio nel quale l’uditore minaccia (o compie) azioni pericolose per gli altri o se stesso.

Quindi cosa ne penso? E’ utile sedare un paziente con psicofarmaci in situazioni simili?

SI’ E’ UTILE, LO DEVO AMMETTERE. MA E’ UNA PRASSI QUESTA CHE SERVE UNICAMENTE A COPRIRE UN UNICA VERITA’.
IN PRIMO LUOGO, UNA TOTALE IGNORANZA ED INESPERIENZA DI PROFESSIONISTI E O.S.S. RIGUARDO GLI UDITORI DI VOCI ED IN SECONDO LUOGO CHE LA SEDAZIONE IN QUESTI SPECIFICI CASI, NON E’ UNA STAMPELLA, COSI’ COME MOLTISSIMI PROFESSIONISTI DEFINISCONO GLI PSICOFARMACI MA SONO UNA VERA E PROPRIA COPERTA O FORSE, UN VELO PIETOSO.

Una coperta che serve nell’immediato per risolvere una situazione di pericolo che ben molto prima, poteva essere evitata.

Ad oggi ho esperienze significative vissute in prima persona per poter dire che è possibile evitare (con la prevenzione) l’uso di sostanze pesantemente sedative in uditori di voci prima che essi arrivino ad un loro drammatico esordio così come è stato descritto in questo articolo.

Men che meno è necessario l’utilizzo di antipsicotici con posologie cosiddette di “mantenimento” dopo uno o più esordi acuti, sempre come nelle situazioni descritte in questo testo.

PREVENZIONE E CONOSCENZA, SONO LE PAROLE CHE EVITERANNO TERAPIE FARMACOLOGICHE ERRATE.

Ma errate in riferimento a che cosa?

Se in fase di anamnesi, lo specialista raffronterà i dati raccolti dall’utente e dai familiari riferendosi in seguito ad un modello di raffronto ben preciso che definisce cosa è schizofrenia e cosa non lo è, la diagnosi che ne risulterà sarà molto probabilmente congruente alla terapia psicoterapeutica e farmacologica prevista.

Lo specialista quindi, insisterà, difenderà e valorizzerà l’affermare che se una persona dice, pensa, compie determinate cose, e queste parole, pensieri e azioni raggiungono un “punteggio” che determina la diagnosi di schizofrenia, la persona in oggetto sarà certificata schizofrenica avendo raccolto dati sufficienti dall’anamnesi grazie anche ad esami obiettivi.

In fase di anamnesi quindi, si raccolgono informazioni che dovranno poi essere messe a confronto con un modello, un riferimento per poter procedere verso un preciso percorso psicoterapeutico e farmacologico.

Il problema è che il modello al quale si fa riferimento, adotta poi in risposta strategie e percorsi NON ALEATORI O SOGGETTIVI MA SCIENTIFICI per far sì che un professionista, possa essere in grado di fare quanto gli è possibile in scienza e coscienza, per migliorare la qualità di vita dell’uditore schizofrenico.

E tale modello prevede:
– cosa è schizofrenico e cosa non lo è;
– quali percorsi psicoterapeutici di conseguenza adottare;
– quale terapia farmacologica di conseguenza adottare;

Ufficialmente non si può guarire dalla schizofrenia. E’ esatto! Mai affermazione è stata più coerente e veritiera, basandosi su di un modello che ha caratteristiche e strategie ben precise da attuare post diagnosi.

E come tutte le strategie farmacologiche (e psicoterapeutiche) ci sono spesso delle conseguenze che aggiungono ulteriore invalidità, sia fisica, sia psicologica.

Lo si chiama compromesso? Compromesso tra migliorare qualcosa da una parte e perdere qualcosa da un’altra?

Ma chi ha deciso che questo compromesso, sia giusto?

Chi o che cosa o in che ambito è stato deciso il peso di questo compromesso?

Lo decidono i test clinici delle case farmaceutiche il peso di questo compromesso?

Lo decidono dei test clinici il significato de “il paziente ha migliorato la qualità della propria vita?”

Lo decide lo specialista che ha preso in carico una persona definire su che cosa basarsi per poter dire “ha migliorato la qualità della vita?”

Risultati di test clinici su di un campione numerico di persone molto limitato rispetto alla popolazione mondiale, differente per età, condizioni di salute, esperienze di vita passate, estrazione sociale e innumerevoli altri fattori, rappresentano veramente un riferimento scientifico che non può essere contraddetto e confutato?

Una delle tante risposte in forma di prevenzione al modello attuale di schizofrenia, può essere questo:

PRENDETE UN UDITORE DI VOCI E SPIEGATEGLI CHE IL SUO SENTIRE, E’ UN TALENTO DA DOMARE. NON SI AMMALERA’ MAI.PRENDETE UN UDITORE DI VOCI E DITEGLI CHE HA UNA PATOLOGIA INGUARIBILE. FARA’ DI TUTTO PER COMPORTARSI E SENTIRSI MALATO. NON GUARIRA’ MAI.

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17-18-19 Maggio. Dentro le voci: trauma, emozioni e psicopatologia tra l’età pediatrica ed adulta

Federico Bergna · 22/01/2019 · Lascia un commento

Manifesto evento sentire le voci

L’evento si terrà a Brescia – Centro Paolo VI – Via Calini Gezio, 30

Tre giorni dedicati al mondo delle “voci”, ovvero le allucinazioni uditive e visive, di cui ci occupiamo da oltre vent’anni. “Dentro le voci” è un evento nazionale accreditato al rilascio dei crediti ECM (16,8 crediti) . Puoi formarti con i maggiori esperti in Italia di trattamento delle “voci” e di varie forme di allucinazioni.

Assisterai a tavole rotonde, talk, e corsi di formazione sugli approcci interpretativi, diagnostici e di presa in carico dei disturbi mentali-schizofrenici-esistenziali.

Potrai seguire un corso che prende in considerazione gli aspetti medici, fisiologici, psicologici, sociali, e familiari che contribuiscono a definire una “dimensione unica e irripetibile”.
La trasversalità dei contenuti, i bisogni, le proposte esposte e le pratiche di intervento saranno chiare, lineari, oltre che reali.

SCARICA IL PROGRAMMA DEI 3 GIORNI: programma_Brescia-sentire-voci

SCARICA IL MODULO DI ISCRIZIONE AL CONVEGNO: modulo-iscrizione-convegno-dentro-le-voci

ULTERIORI INFORMAZIONI DAL SITO UFFICIALE: https://www.sentirelevoci.it/landing-dentro-le-voci/

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Sentire le voci è una patologia mentale?

Federico Bergna · 12/11/2018 · Lascia un commento

Questa storia di vita reale, rappresenta un modo totalmente autentico di dimostrare come il “sentire le voci”, non sia assolutamente una psicosi ma uno degli infiniti modi che ha l’essere umano, di comunicare le proprie emozioni verso il mondo esterno o verso se stessi (esattamente al pari di chi non è un uditore di voci).

Riporto qui l’articolo originale nella sua integrità citando la fonte, per chi volesse approfondire altro, sul sito web: “Quattro chiacchiere con Giuseppe Bucalo“.

In aggiunta, segnalo il canale youtube di Cristina Contini, oggi giovane donna che è stata una nelle prime persone in Italia, ad affrontare e divulgare pubblicamente temi legati al vero significato delle dispercezioni uditive. Ad oggi, ancora sente le voci e ci convive, stupendamente. Ecco il link: https://www.youtube.com/user/CristinaContini


Di recente uscita “Sentire le voci: guida all’ascolto”, è un testo che aiuta ad entrare e comprendere il mondo reietto della malattia psichiatrica. Finalmente un angolo visuale dalla parte della Persona e non – come capita spesso – dalla parte del medico, o dello psichiatra o della morale comune. Un libro che apre gli occhi su molto di quello che quotidianamente ognuno di noi rifiuta e tiene lontano da sè. Nato a Sidney (Australia), Giuseppe Bucalo nel 1986 è cofondatore del Comitato d’Iniziativa Antipsichiatrica di Furci Siculo (ME), paese siciliano di tremila anime in cui sperimenta esperienze di gestione collettiva delle esperienze di follia.

Attualmente è impegnato nel Telefono Viola contro gli abusi psichiatrici e nell’associazione autogestita “La Sindrome Associativa” operanti a Catania. A partire da quale esperienza personale, sei partito per questa ricerca sfociata in “Sentire le voci: guida all’ascolto”? Da anni mi aggiro nei luoghi fisici e mentali in cui sono rinchiusi esseri umani rei di lesa realtà.Persone sottoposte ad ogni sorta di sevizie col solo scopo di farle smettere di dire o di fare ciò che pensano, vedono, vogliono.

Persone chiamate malate per il loro modo di pensare, di vivere o di percepire. Persone che spesso sentono voci che altri non sentono: voci che spesso sono quanto più di umano attraversa le loro vite. Potrebbe sembrare naturale che a furia di praticare una relazione attiva con esseri extraordinari come i matti si finisca per interessarsi a ciò che dicono, sognano, affermano o fanno. In realtà non è così. Il nostro interesse primario è quello di zittirli, di farli ragionare, di aiutarli a vivere una vita ‘normale’. Non importa se ci consideriamo oppressori o liberatori, se azzeriamo le persone con gli psicofarmaci oppure le normalizziamo attraverso la psicoterapia, se le puniamo con un ricovero o le premiamo facendo loro lavorare la creta: ciò che conta è riuscire a convincerli che ciò che sentono è frutto della loro fantasia e che non può essere vero.

Questo atteggiamento è peggiore di qualsiasi muro, manicomio, elettroshock, camicia di forza che ci siamo potuti inventare, perché condanna all’inesistenza assoluta chi ne è vittima.
Nessun uomo e nessuna verità esiste se non ha credito presso un altro essere umano: gli psichiatrizzati trasformati in persone incredibili smettono di esistere, diventano oggetti delle nostre cure o delle nostre paure, delle nostre statistiche o dei nostri esperimenti. E noi? Visti dalla loro parte non siamo tanto diversi dalle cose che li tengono a freno, legati e abbandonati negli angoli: siamo fatti della stessa materia delle cinghie, delle grate, degli aghi, delle porte… cose messe a guardia di altre cose. Mi ci sono voluti anni per incominciare a prestare ascolto e a dar loro credito, anni per accorgermi che non avevo di fronte degli scherzi della natura o della cultura, ma delle persone viventi, crocevia di sentimenti, conoscenze, esperienze e desiderio… proprio come me.

Salvatore un giorno qualunque mi stava davanti facendo si e no con la testa continuamente. Rispondeva alle mie domande su cosa avesse mangiato e dove volesse andare a prendere un caffè etc. ma continuava il suo dialogo interiore con chissà chi, mentre io snocciolavo una serie inesauribile di banalità per cercare di distrarlo… Inutilmente.
Qualcosa mi prese in un attimo. Ero sicuro di essere reale e vero e, quindi, certamente più forte di qualsiasi sua fantasia. Lo sfidai. Dissi qualcosa come: “Visto che sei impegnato in chissà quale discussione. Fammi sentire quello che senti, fammi partecipare alla discussione”. Salvatore si fermò un attimo come se lo avessi colpito nel più profondo dei suoi segreti. Poi scandì: “Brutto bastardo ti ammazzo. Io non voglio nascere!”. In un attimo fui catapultato all’interno di questo mondo parallelo che vive, respira e comunica accanto a noi e di cui non percepiamo l’esistenza.

Quel giorno provai solo paura: era come se avessi pestato inavvertitamente la coda ad un felino famelico e crudele. Salvatore si era trasformato in un’attimo da quell’essere dormiente inebetito dai farmaci che appariva, in un moloch sanguinario e distruttivo. Cominciai a scaricare una serie infinita di parole e banalità come a voler spegnere un incendio. Salvatore si spense di nuovo e io tirai un sospiro di sollievo. Poi, lentamente ma inesorabilmente, qualcosa cominciò a tarlarmi dentro: cosa era stato il nostro rapporto fino ad allora? Con chi avevo parlato e chi mi aveva risposto? Cosa sapevo di ciò che lui realmente sentiva? E quante volte lui mi aveva salvato dalla mia cecità e stupidità? E ancora, come sarebbe stato possibile per me e per lui vivere e comunicare con quel mostro che gli parlava dentro? Ed era il solo?

Chiunque si interessava a Salvatore avrebbe dovuto interessarsi a quella voce che parlava con lui.Invece intorno non facevamo altro che tenerlo sottocchio e ricacciarlo indietro ogni volta che provava a dirci quello che succedeva. Da allora, e per molti anni dopo, ho cominciato a nutrire il più assoluto rispetto per questi uomini e queste donne che vivono in un territorio incredibile e impossibile di cui non sappiamo niente. Con molti abbiamo percorso questa strada fino al punto in cui la mia normalità mi consente e oltre, e abbiamo incominciato ad incontrarci e a scambiare esperienze con altri uditori di voci e, altre persone, che come me, sono disposte a credere che questo è solo uno dei modi di esistere e questo è solo uno dei mondi possibili.

Qual’e’ la tesi sostenuta in questo libro? Il libro cerca di aiutare la comunicazione fra le persone e le voci, e fra le persone che le sentono e chi non le sente. La tesi in fondo è semplice: il rapporto con le voci è una vera e propria relazione interumana e va compresa, accettata e vissuta come tale. Ciò non significa che sia necessariamente positiva o gratificante, così come non lo sono molte delle nostre relazioni, né che sia qualcosa di statico e di dato una volta per sempre, perché al contrario è un rapporto dinamico che può cambiare in relazione al nostro stesso atteggiamento.
Qualsiasi tentativo di confronto con questa esperienza deve partire dall’accettazione dell’esistenza reale delle voci. Ciò vale tanto per chi le sente, quanto per chi cerca di comprenderne la natura. La persona che afferma di sentire le voci le sente realmente, così come è capace di sentire la nostra voce allarmata di fronte a quanto ci sta dicendo. Il resto se vogliamo viene da sé. Una volta che l’esperienza viene riportata su un piano di realtà, i possibili sviluppi e le implicazioni non sono molto distanti da quelli che si verificano in qualsiasi relazione umana. Possiamo sentirci ossessionati da questa presenza oppure trovarla di conforto, possiamo subirne il fascino così come possiamo non tenerla in nessuna considerazione, possiamo crederle oppure non darle alcun credito…

Tutto dipende dalla nostra sensibilità e dal contesto in cui viviamo in quel momento, ma dipende anche dalla Voce, dalla sua natura e dai suoi scopi. Una Voce è una comunicazione. La ricerca allora può essere quella di definire chi comunica, cosa e a chi. L’esperienza ci dice, intanto, che già questo modo di impostare la questione pone la persona in una posizione più favorevole nel processo di gestione delle voci.
Al contrario, ritenere le voci delle allucinazioni o dei sintomi di una qualsivoglia malattia mentale, isola la persona che le sente in una situazione in cui niente può contro la loro invasione, né contro l’invasione, ben più distruttiva, delle cure psichiatriche nella sua mente. A guardare bene la psichiatria è fra tutte le ipotesi possibili circa la natura e le origini delle voci, l’unica che sembra porsi l’obiettivo di rivendicare alle voci il dominio sulla mente delle persone. Posso riassumere brevemente le tesi fondamentali del libro in questi punti: sentire voci non è una malattia, ma un modo e una possibilità della percezione umana; questa esperienza percettiva, come ogni altra che riguarda i nostri sensi e la nostra sensibilità, non va curata, né trasformata a priori, ma compresa e gestita;

occorre dialogare con le voci: non serve far finta di niente o cercare di distrarsi; la gestione di questo dialogo nasce dal riconoscerlo come tale e dal confrontarsi apertamente e chiaramente con le voci circa la loro identità e le possibili influenze reciproche; le voci esistono, ma ciò non significa che abbiano sempre ragione; le voci hanno a che fare con noi, ma ciò non significa che esse siano nostre fantasie o che vogliano necessariamente il nostro bene; non siamo i soli a sentirle: sentire voci è un’esperienza reale e universale; occorre conoscere e mettersi in contatto con gli altri uditori: solo chi sperimenta o ha sperimentato questa esperienza può aiutarci.
Quali sono le testimonianze scientifiche (e non) a favore di questa tesi? Tutti coloro che per motivi personali o di studio si sono avventurati nel tentativo di comprendere il mondo e l’esperienza degli uditori alla fine hanno dovuto riconoscere la realtà di questa esperienza. Nel libro si cita ad esempio Jung, nella sua doppia veste di uditore/uomo di conoscenza. Egli, più di ogni altro, rivendicò il valore di realtà della vita psichica. Oggi attraverso la lettura della sua autobiografia (Sogni, Ricordi e Riflessioni, Rizzoli), possiamo aver chiaro il contesto umano in cui questa e le altre sue idee sono nate. Jung visse in prima persona l’irrompere dell’inconscio collettivo nella sua esistenza.

Questi eventi per molti anni furono costituiti da visioni e comunicazioni con voci che guidarono la sua riflessione, misero a serio rischio la sua integrazione sociale e furono rielaborate, infine, all’interno della sua idea dell’uomo e delle sue relazioni con le energie psicologiche e archetipiche. Anche a costo di sminuire agli occhi dei suoi seguaci, la figura di Jung, possiamo dire che egli riuscì a percorrere fino in fondo la strada che si apre dalla breccia nel reale costituita dall’udire voci inudibili e porta ad una più profonda conoscenza di se stessi e della realtà, evitando di essere diagnosticato pazzo.
E’ quello che succede alla stragrande maggioranza dei pazienti psichiatrici i cui pensieri, conoscenze ed esperienze, invece di essere salutate come forme di conoscenza umana vengono chiamate deliri. Jung è riuscito a trovare ragioni e sensi per il suo delirio: il delirio stesso è diventato realtà. Le esperienze umane non vanno curate, ma realizzate. Questo è uno dei primi assunti della pratica antipsichiatrica, che è un’altra delle componenti “scientifiche” che sostengono questa tesi, soprattutto per quanto riguarda l’effetto devastante e distruttivo delle diagnosi psichiatriche.

Citerei Ronald Laing, Morton Shatzmann. David Cooper, Thomas Szasz, che più di altri hanno mostrato che la “malattia mentale” non esiste. In realtà ci troviamo di fronte a possibilità umane, inquietanti e meravigliose, che la nostra cultura e la nostra mente non sanno (non vogliono o non possono) accettare o tollerare. Laing, più che gli altri, annotò il fatto che la psichiatria oltre a perpetrare un errore tragico nel trasformare in malattia ciò che malattia non è, condanna le persone a rimanere “pazze” per tutta la vita: impedisce loro il ritorno dal viaggio interiore che ogni esperienza di follia rappresenta.Concordo con Laing che non si dovrebbe avere paura di impazzire, ma si dovrebbe essere aiutati a farlo da persone che hanno già fatto questo stesso viaggio.

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