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neurolettici

Gli antipsicotici andrebbero limitati al controllo dei momenti di psicosi acuta e andrebbero evitati i trattamenti a lungo termine perché aumentano il rischio di ricadute, di discinesia e atrofia cerebrale

Federico Bergna · 08/02/2019 · Lascia un commento

Il ricercatore Robin Murray riconosce i suoi errori nella comprensione della schizofrenia. In un nuovo articolo, pubblicato su Schizophrenia Bulletin, lo psichiatra Sir Robin Murray riflette sulla storia della ricerca sulla schizofrenia e sugli errori commessi.

Murray, professore all’Istituto di Psichiatria, Psicologia e Neuroscienze a Londra, afferma di aver ignorato per troppo tempo i fattori sociali che contribuiscono alla “schizofrenia”. Riferisce anche di aver trascurato gli effetti collaterali dei farmaci antipsicotici sul cervello.

Murray afferma:

“Sorprendentemente, è tale il potere del modello Kraepeliano che alcuni psichiatri rifiutano ancora di accettare le evidenze e si aggrappano alla visione nichilista secondo cui esiste un processo schizofrenico intrinsecamente progressivo, una visione molto controproducente per loro pazienti”.

Robin Murray, psichiatra scozzese e professore di ricerca psichiatrica presso l’Institute of Psychiatry, Kings College di Londra
Murray, che ha iniziato la sua attività come psichiatra nel 1972, descrive il passaggio della psichiatria statunitense a metà degli anni ’70 “dall’essere totalmente psicoanalitica a quasi completamente biologica”.

Da questo cambiamento, c’è stata una maggiore concentrazione sul ruolo della dopamina e sui fattori genetici nella “schizofrenia”.

Durante gli anni ’70, la “schizofrenia” cominciò ad essere considerata una malattia neurodegenerativa.
Questa teoria era supportata da uno studio che aveva rilevato un aumento del volume dei ventricoli nel cervello degli individui con diagnosi di “schizofrenia”.

Murray si rammarica del fatto che lui e molti altri abbiano ignorato un altro studio pubblicato all’incirca nello stesso periodo, che rilevava come l’uso a lungo termine dei farmaci antipsicotici potesse portare a cambiamenti cerebrali persistenti, principalmente nella sensibilità dei recettori della dopamina e che possono portare alla discinesia tardiva.

È stato nel 2008, quando uno studio più recente mostrava gli effetti dei farmaci antipsicotici sul volume ventricolare, che Murray ha iniziato a prestare attenzione agli effetti a lungo termine dell’uso degli antipsicotici.

Egli afferma:

“Quindi, nel 2016, è chiaro che gli antipsicotici ad alte dosi contribuiscono non ai piccoli cambiamenti cerebrali presenti all’inizio della schizofrenia, ma ai successivi cambiamenti progressivi.”

Murray analizza anche la teoria dello sviluppo neurologico della schizofrenia “l’idea che il disturbo sia causato da problemi durante la nascita e lo sviluppo precoce”. Ora, Murray si riferisce a questa teoria come una “sopravvalutazione” delle prove.

Murray discute anche della supersensibilità alla dopamina, sul fatto che il trattamento con antipsicotici a lungo termine può portare ad un aumento dei recettori della dopamina, il ché aumenta la sensibilità alla dopamina e diminuisce l’efficacia dei farmaci antipsicotici.

Afferma: “Aumentiamo la possibilità che i farmaci antipsicotici possano rendere alcuni pazienti schizofrenici più vulnerabili alle ricadute future rispetto a quanto accadrebbe nel corso naturale della malattia”.

Murray crede nell’uso dei farmaci antipsicotici per trattare la schizofrenia, ma è diventato più cauto nel suo uso a lungo termine, dicendo:

“Non c’è dubbio che gli antipsicotici sono necessari nella psicosi attiva acuta. Ma dobbiamo forse continuare a prescriverli in alcuni pazienti perché abbiamo reso il recettore D2 [dopamina] supersensibile all’eccesso di dopamina rilasciato? Io, e in effetti la maggior parte dei ricercatori, ho trascurato questa questione di vitale importanza”.

Murray afferma che si aspetta che il concetto di “schizofrenia” come disordine astratto divenga obsoleto, proprio come “idropisia”.

Scrive:
“Nei decenni successivi al 1976, ho trascorso più tempo ed energie di quanto vorrei ricordare, cercando di scoprire cosa causava i cambiamenti cerebrali nella schizofrenia”.

Purtroppo, non mi sono reso conto che gli effetti di fattori di rischio come eventi avversi alla nascita o struttura e funzione del cervello che possono essere facilmente osservati nei campioni di soggetti non schizofrenici, sono nascosti nelle persone con schizofrenia dall’effetto degli antipsicotici ed altri fattori di rischio.

È significativo che uno psichiatra di primo piano ammetta gli errori psichiatrici e chieda maggiori ricerche su fattori ambientali ed epigenetici. Questo potrebbe indicare un cambiamento nel campo della psichiatria se gli altri seguissero la guida di Murray.

Conclude:

“Se avessi la possibilità di avere una seconda carriera, mi impegnerei di più a non seguire la moda del gregge.
Gli errori che ho commesso, almeno quelli che ho intuito, di solito sono il risultato di una eccessiva adesione all’ortodossia dominante”.

Articolo originale in inglese: vai all’articolo

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Uso di neurolettici e antipsicotici: deve essere riconsiderata l’efficacia?

Federico Bergna · 15/11/2018 · Lascia un commento

Nel video lo psichiatra Giuseppe Tibaldi, tra le altre cose, parla dei NEUROLETTICI o ANTIPSICOTICI affermando che il loro uso deve essere riconsiderato.
Da uno studio randomizzato e controllato della durata di 7 anni si è visto infatti che il gruppo in cui l’uso degli antipsicotici veniva ridotto e sospeso aveva una percentuale di guarigione funzionale pari al 40% degli individui, mentre nel gruppo in cui il trattamento era mantenuto per tutta la durata del periodo di osservazione, la percentuale di guarigione funzionale era solo del 18%.

Alla luce di questi risultati gli antipsicotici non dovrebbere essere ritenuti indispensabili, in modo particolare nel primo anno di trattamento del disturbo psichico.
In accordo col fatto che anche le case farmaceutiche attualmente non hanno in studio e sperimentazione molecole nuove, i trattamenti farmacologici devono essere riconsiderati e devono essere privilegiati altri tipi di approcci non farmacologici per la cura dei disagi psichici come interventi psicologici e psicosociali.

Tibaldi ribadisce che gli operatori del settore, gli psichiatri, allo stato attuale non sono in grado di operare una riduzione e una sospensione degli psicofarmaci in sicurezza per il paziente. Non esistono cioè corsi universitari o parauniversitari che preparino gli psichiatri ad affrontare questo delicato processo.
A questo scopo occorre perciò creare un dialogo con le associazioni degli utenti per collaborare in modo da affrontare questo grosso problema.

AVVISO PER IL LETTORE: tutti gli articoli presenti su questo sito, non vengono realizzati da alcun nostro autore (ad eccezione degli articoli sotto la categoria “storytelling”. Ci limitiamo nel riportare su questo sito, materiale informativo reperito in rete citando la fonte di provenienza. Avvisiamo quindi il lettore nel valutare con distacco le informazioni qui reperibili in quanto non possiamo garantire la veridicità delle informazioni riguardo le fonti di provenienza.

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Gli antipsicotici o neurolettici inducono atrofia del cervello nei bambini

Federico Bergna · 12/11/2018 · Lascia un commento

Secondo uno studio condotto da un gruppo di psichiatri australiani, i farmaci antipsicotici, sempre più spesso prescritti ai bambini e ai giovanissimi per comuni problemi di comportamento, possono restringere il cervello e causare menomazioni mentali permanenti. Inoltre, i potenti medicinali possono anche impedire la normale crescita cerebrale.

Articolo redatto e pubblicato da: Socialfarma

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