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GIORNO 522: tutto ciò che NON dovrebbe fare uno psichiatra per costruire un’alleanza terapeutica efficace

Federico Bergna · 17/01/2020 · Lascia un commento

Una volta tanto, mi permetto il lusso di dare consigli. Dopotutto, avendo visto con i miei occhi negli ultimi 20 anni certi dogmi, prassi e automatismi della psichiatria, posso certamente dare qualche spunto di riflessione concreto. Lo farò prendendo come esempio, il caso di un mio contatto Facebook. Per privacy non farò riferimento a nessuno e a nessuna istituzione coinvolta. Ma questo caso credimi… è emblematico di come questa storia sia estremamente rappresentativa nella maggior parte dei C.S.M. italiani.

Potrei non essere preciso riguardo la sua storia clinica passata, ne di quello che ha dichiarato o dichiara su Facebook. Ma ciò non è importante perché il ragazzo in questione, per auto-difendersi dallo stesso sistema psichiatrico che dovrebbe aiutarlo nelle sue richieste, usa come arma di difesa la registrazione tramite smartphone di ciò che gli capita. Per tale motivo, questo articolo e gli episodi che tratto in questo articolo, sono riscontrabili oggettivamente da chiunque avesse visto e ascoltato quei video.

Il ragazzo in questione, ha subìto diversi T.S.O. Tempo addietro, ha frequentato per diversi mesi anche una comunità riabilitativa per poi tornare a casa dei suoi genitori. Una volta tornato nella sua regione e provincia di residenza, riviene preso in carico dai servizi territoriali. Il ragazzo in questione è collaborativo sia con lo psichiatra di riferimento, sia con gli infermieri e per collaborativo intendo che non rifiuta alcuna visita medica presso il C.S.M. Si presenta ai colloqui in C.S.M. come previsto e, pur non essendo in accordo con la tipologia di farmaci che assume, preferisce continuare la terapia per rassicurare medici, infermieri, familiari, che continuerà ad assumerli. Tuttavia c’è qualcosa che non va.

I farmaci che assume sono pressoché, per tipologia, quelli di sempre. Attualmente un’antipsicotico (clozapina), un’antiepilettico (depakin) e un ansiolitico (tavor).

Il ragazzo, dopo essersi ristabilito a casa dei genitori da alcuni mesi, continua l’assunzione dei farmaci ma il nuovo C.S.M. presso il quale è in carico, pare insista per aumentare gradualmente le dosi di clozapina, cosa che il ragazzo non vuole fare perché riferisce anche di importanti effetti collaterali che ovviamente, vengono presi poco in considerazione come non veritieri o poco rilevanti.

Nonostante vari incontri con il proprio psichiatra presso il C.S.M. e nonostante non ci sia alcun presupposto per effettuare un accertamento sanitario obbligatorio, il ragazzo da quasi due settimane (o forse più) vede sia al mattino, sia alla sera, gli infermieri entrare al suo domicilio per assicurarsi che assuma i farmaci.

Il ragazzo in ogni occasione delle visite domiciliari, rimarca il fatto che sta assumendo i farmaci prescritti ma che assolutamente non vuole un aumento delle dosi di clozapina.

In breve accade che:

  • gli infermieri si presentano a casa del ragazzo mattina e sera senza che sia stato autorizzato da nessuno un A.S.O.
  • gli infermieri propongono che debba recarsi obbligatoriamente al C.S.M. per dimostrare che sta assumendo i farmaci.
  • gli infermieri continuano a far leva psicologica sul ragazzo rimarcando il fatto che se non aumenta le dosi, finisce ricoverato (ricordiamoci il terrore di questo ragazzo per i ricoveri già subìti).
  • gli viene intimato che non può fare quello che vuole, altrimenti che non prenda più i farmaci. Come se non sapessero che dismettere di colpo certe terapie porta automaticamente a crisi di dismissioni al pari di un eroinomane.
  • si assiste ad una vera e propria contrattazione, così viene definita dagli stessi infermieri al telefono col medico di riferimento, per le quantità da assumere con l’obiettivo di arrivare ad una dose del farmaco ancora superiore rispetto quella già mal tollerata dallo stesso ragazzo.

Quest’ultimo tra l’altro, pare non essere sotto tutela, quindi non interdetto, ma ha un amministratore di sostegno di cui personalmente, non conosco nello specifico cosa è chiamato a gestire sulla base del decreto di nomina del giudice ricordando inoltre che, se fosse sotto amministrazione di sostegno, non è previsto in alcun modo dall’ordinamento giuridico che un A.D.S. si sostituisca in toto alle scelte di cura del soggetto. Esiste in rete forse una sentenza di un tribunale, che ha autorizzato ad un A.D.S. le scelte di cura per un paziente improvvisamente entrato in coma non in grado di comunicare all’esterno e non avente alcuna documentazione pregressa sulle sue volontà terapeutiche. Non è questo certamente quindi il caso…

In modo estremamente evidente, questo ragazzo è terrorizzato da queste imposizioni domiciliari da parte dei sanitari. E come potrebbe non esserlo? Con un passato costellato da T.S.O. come potrebbe essere tranquillo un ragazzo che si vede abusato dei suoi diritti fondamentali, nell’intrusione domiciliare da parte di sanitari che letteralmente impongono una contrattazione farmacologica col ragazzo, contro il suo volere?

Com’è possibile che un medico psichiatra di un C.S.M., autorizzi spedizioni in stile gestapo a casa di un ragazzo già in estrema difficoltà emotiva, contribuendo così alla sua totale perdita di fiducia nel potersi fidare del proprio medico psichiatra e quindi, dei servizi offerti da un C.S.M.?

Com’è possibile che un sistema pubblico psichiatrico, ancora fortemente basato sulla priorità farmacologica anziché sulla relazione, insista in queste pratiche coercitive che tutto vanno tranne che a favore della fiducia tra medico e assistito?

Com’è possibile che un ragazzo, nonostante sia ampiamente collaborativo al dialogo con i sanitari, sia costretto nel 2020 ad utilizzare un smartphone per evitare che dietro le quinte, avvengano abusi ancora maggiori?

Com’è possibile che ancora oggi, nel 2020, la priorità nel tema della “salute mentale” sia identificata con la prassi de “prima ti sediamo, e poi vediamo se finalmente possiamo collaborare?”

Quindi? Soluzioni? Ve le scrivo subito le possibili soluzioni per questo ragazzo:

  1. I sanitari devono mettersi una mano sulla coscienza ed iniziare ad informare correttamente prima di tutto i genitori. Se all’interno della stessa famiglia ci sono totalmente idee ed informazioni contrastanti sia riguardo la tipologia di terapie proposte, sia riguardo l’assistenza psicoterapeutica, questo ragazzo non ne uscirà vivo. Questo perché i genitori cercheranno sempre e comunque di appoggiare i sanitari dal punto di vista delle proposte cliniche anziché sostenere le richieste del proprio figlio e che vivono con lui la quotidianità proprio perché ancora nel 2020, vi è il concetto del farmaco “che cura” ma manie, psicosi, allucinazioni, idee persecutorie, non hanno origine da nessun malfunzionamento cerebrale. Il farmaco può controllare o, all’opposto, addirittura accentuare i sintomi ma questa seconda ipotesi nemmeno viene contemplata. Da qui si origina in tutti l’idea dell’obbligatorietà di assumere farmaci per guarire e stare bene. Non è questa la strada…
  2. La strada è sedersi ad un tavolo con: psichiatra, genitori e figlio mettendo al centro le richieste del paziente. Ficcatevelo bene in testa che è il paziente che fa una richiesta di aiuto e sulla base di questa richiesta, il medico può proporre. Non imporre. Ne tanto meno può farlo il cosiddetto team/gruppo di lavoro del C.S.M. Ciò vuol dire che se questo ragazzo soffre di manie persecutorie perché ha denunciato in passato in questura certe situazioni, significa che questo ragazzo ha completamente perso fiducia sia nelle istituzioni, sia molto probabilmente nei famigliari, vista la situazione attuale e che si sono ritrovati in una situazione per loro ingestibile. Significa che se questo ragazzo soffre di manie di persecuzione, qualcosa è accaduto nel suo passato per spingerlo a tal punto dal doversi auto-tutelare da qualcosa che ritiene di aver ingiustamente subìto. Mettere al centro l’interessato significa anzitutto ascoltarlo nelle sue più profonde paure verso il mondo esterno e negli altri, senza negare ciò che dice perché ciò che dice, ha un’immenso significato, che è estremamente reale e concreto in questo ragazzo e che ancora non è stato compreso, si è incapaci evidentemente a comprendere ne ci si vuol lavorare concretamente sopra visti i continui ed insistenti accertamenti domiciliari.
  3. Affiancare a questo ragazzo quello che si chiama in gergo “un facilitatore”. Non servono risorse economiche per una figura simile. Non necessariamente deve essere una figura professionale assunta ad esempio con contratto da una cooperativa (housing). E’ sufficiente che questo ragazzo indichi una persona di sua fiducia e che il lavoro svolto dal facilitatore, sia preso seriamente in considerazione dal C.S.M. che valuterà unicamente i risultati concreti che porterà il facilitatore. Una persona che faccia un pò da anello di congiunzione tra le soluzioni proposte dai sanitari, tra famiglia stessa e questo ragazzo che ha bisogno di ritrovare sicurezza in se stesso per uscire di casa con al fianco qualcuno che lo rassicuri, per poi restituirgli pian piano fiducia verso le persone che incontra e non ultimo, nel suo rapporto primario con il medico del C.S.M.
  4. Iniziare ad individuare un percorso di formazione lavorativa per questo ragazzo non tanto allo scopo di fargli fare qualcosa per tenerlo occupato (classici lavoretti in cooperative demotivanti o progettini artistici ricreativi o frequentazione del centro diurno dove magari è già stato ricoverato in passato) ma piuttosto di una vera e propria formazione professionale (vedi corsi di formazione agevolati dalla regionale parzialmente anche a pagamento) con l’obiettivo di portarlo inizialmente ad uno stage anche non retribuito (a breve termine) e se ci saranno i presupposti, ad un assunzione presso aziende in categorie protette (aimè l’invalidità… su carta si è incapaci, ma poi nella pratica si può dimostrare tutt’altro). Insistere in soluzioni farmacologiche sempre maggiori per quantità e tipologia, non porterà altro che alla cronicizzazione dell’attuale invalidità sanitaria negli anni avvenire ed i C.S.M. sono già pieni di “pazienti storici”. Chiedetevi perché. C’è un’epidemia? (vedi dati SIEP aumento uso antipsicotici)
  5. Permettere a questo ragazzo di scegliere lui uno psicoterapeuta, non necessariamente facente parte dello stesso C.S.M. Sappiamo tutti benissimo che la maggior parte degli psicologi che lavorano nello stesso team psichiatrico, spesso e volentieri lavorano per non andare in contrasto con le soluzioni farmacologiche dello psichiatra che ha in carico il paziente. Abbiate il coraggio di affidare un’eventuale psicoterapia ad un professionista indipendente al vostro team di lavoro.
  6. Evitare di obbligare a tutti i costi la frequenza del centro diurno magari ubicato nella stessa struttura dove il ragazzo ha subìto i T.S.O. Ci avete mai pensato a cosa prova un ragazzo quando entra in un centro di salute mentale dopo che ha vissuto l’inimmaginabile? Ma secondo voi, per quale recondita logica una persona psichiatrizzata dovrebbe sforzarsi nel farsi piacere la frequentazione di un luogo che ha rappresentato per lui le sofferenze più inimmaginabili? Io al suo posto ben mi guarderei nel riprendere a frequentare un posto vedendo le facce degli stessi infermieri che magari mi hanno legato al letto o rivedere gli stessi pazienti che magari non sopportavo, compagni di stanza.

Che qualcuno dica come la pensa, e lo dica senza troppi giri di parole. Che qualcuno inizi a parlare e a dire come stanno effettivamente le cose quando si entra in un C.S.M. dopo aver subito trattamenti sanitari obbligatori. Che qualcuno inizi a raccontare effettivamente la totale disinformazione sopratutto sulla reale efficacia degli psicofarmaci fuori dai contesti di estrema urgenza che mette in pericolo la vita della persona sofferente o di chi gli sta accanto. Che qualcuno inizi a raccontare qual’è in realtà lo scopo di arrivare alle dosi massime tollerabili da un paziente (sicuri dal paziente?) per sopperire a quello che in realtà andrebbe fatto ma che non viene fatto per mancanza di risorse, personale, preparazione, esperienza, formazione, pratica. Che qualcuno inizi a raccontare la propria storia senza aver paura di essere minacciato o ricattato.

Ma soprattutto, che qualcuno inizi a sporcarsi le mani come ho iniziato a fare io da tempo mettendoci sempre la faccia, con nome e cognome. Buona fortuna ragazzo, sono solo un leone da tastiera. Ho già la mia guerra personale da combattere ogni santo giorno e non su di un PC. Ma sei in gamba. Sei davvero in gamba. Sei il più sveglio tra tutti quelli che ho visto girarti attorno.

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