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Diario di viaggio a tema schizofrenia, allucinazioni, psichiatria, tribunali e soluzioni di recovery.

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NEWS DALLA RETE

L’uso di benzodiazepine in associazione con antidepressivi aumenta il rischio di dipendenza da benzodiazepine

Federico Bergna · 15/03/2019 · Lascia un commento

Dall’articolo in link: https://www.madinamerica.com/2017/07/researchers-identify-patterns-antidepressant-long-term-benzodiazepine-use/

“Un nuovo studio, pubblicato in JAMA Psychiatry, esamina l’uso di benzodiazepine su persone alle quali sono stati prescritti anche antidepressivi.

I ricercatori hanno scoperto che, di quelle alle quali erano stati inizialmente prescritti sia antidepressivi che benzodiazepine, circa il 12% ha continuato ad assumere benzodiazepine a lungo termine.

“Le benzodiazepine sono state prescritte per brevi periodi ai pazienti con depressione che stavano iniziando la terapia antidepressiva, per migliorare i sintomi depressivi più rapidamente, mitigare l’ansia concomitante e migliorare la continuazione del trattamento antidepressivo”, scrivono gli autori. “Tuttavia, la terapia con benzodiazepina è associata a rischi, compresa la dipendenza, che può insorgere in sole poche settimane”.

A new study, published in JAMA Psychiatry, examines patterns of benzodiazepine use in people also prescribed antidepressants. The researchers found that, of those who were initially prescribed both antidepressants and benzodiazepines, approximately 12% went on to engage in long-term benzodiazepine use.

“Benzodiazepines have been prescribed for short periods to patients with depression who are beginning antidepressant therapy to improve depressive symptoms more quickly, mitigate concomitant anxiety, and improve antidepressant treatment continuation,” the authors write. “However, benzodiazepine therapy is associated with risks, including dependency, which may take only a few weeks to develop.”

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Gli antidepressivi possono in alcuni casi indurre stati di mania i quali vengono erroneamente diagnosticati come disturbo bipolare e trattati con nuove classi di psicofarmaci

Federico Bergna · 15/03/2019 · Lascia un commento

Dall’articolo in link: https://www.farmacovigilanza.eu/content/antidepressivi-e-disturbo-bipolare
ANTIDEPRESSIVI E DISTURBO BIPOLARE

Focus Farmacovigilanza 2015;91(11):5

L’uso di farmaci antidepressivi sembra associarsi nel tempo a un AUMENTO del RISCHIO di MANIA e di DISTURBO BIPOLARE.

Un gruppo di medici britannici ha disegnato uno studio di coorte basato sui dati contenuti nel database sanitario elettronico del South London and Maudsey National Health Service Trust, che si occupa della gestione dei soggetti con malattia mentale, incrociandoli con le prescrizioni di farmaci antidepressivi.1

In totale sono stati considerati 21.012 pazienti che si erano presentati a una struttura del Servizio tra l’aprile 2006 e il marzo 2013 a causa di una depressione unipolare.

L’esito primario dello studio era il tempo necessario alla comparsa di mania o di un disturbo bipolare dalla data di diagnosi di depressione unipolare.

Dall’analisi dei dati è emersa un’incidenza globale di mania/disturbo bipolare pari a 10,9/1.000 anni-persona, con un’incidenza maggiore nella fascia di età tra i 26 e i 35 anni (12,3/1.000 anni-persona).

L’uso in precedenza di un farmaco antidepressivo si associava in effetti a un’incidenza aumentata di mania/disturbo bipolare (da 14,1 a 19,1 per 1.000 anni-persona).

L’analisi multivariata, che ha analizzato le varie classi di farmaci ha confermato l’associazione indicando dati statisticamente significativi per gli inibitori selettivi della ricaptazione della serotonina (hazard ratio 1,34, limiti di confidenza al 95% da 1,18 a 1,52) e per la venlafaxina (hazard ratio 1,35, limiti di confidenza al 95% da 1,07 a 1,70).

Anche se per il momento non si può stabilire una relazione di causa ed effetto, trattandosi di uno studio osservazionale, i dati sembrano far emergere un’associazione tra uso degli antidepressivi per il trattamento di una forma unipolare e successivo sviluppo di una forma bipolare.

Nella pratica quindi la terapia con questi farmaci va seguita attentamente e occorre saper cogliere per tempo eventuali viraggi verso la mania o la forma depressiva bipolare.

Bibliografia:
Brit Med J Open 2015;DOI:10.1136/bmjopen- 2015-008341). CDI

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Gli antipsicotici andrebbero limitati al controllo dei momenti di psicosi acuta e andrebbero evitati i trattamenti a lungo termine perché aumentano il rischio di ricadute, di discinesia e atrofia cerebrale

Federico Bergna · 08/02/2019 · Lascia un commento

Il ricercatore Robin Murray riconosce i suoi errori nella comprensione della schizofrenia. In un nuovo articolo, pubblicato su Schizophrenia Bulletin, lo psichiatra Sir Robin Murray riflette sulla storia della ricerca sulla schizofrenia e sugli errori commessi.

Murray, professore all’Istituto di Psichiatria, Psicologia e Neuroscienze a Londra, afferma di aver ignorato per troppo tempo i fattori sociali che contribuiscono alla “schizofrenia”. Riferisce anche di aver trascurato gli effetti collaterali dei farmaci antipsicotici sul cervello.

Murray afferma:

“Sorprendentemente, è tale il potere del modello Kraepeliano che alcuni psichiatri rifiutano ancora di accettare le evidenze e si aggrappano alla visione nichilista secondo cui esiste un processo schizofrenico intrinsecamente progressivo, una visione molto controproducente per loro pazienti”.

Robin Murray, psichiatra scozzese e professore di ricerca psichiatrica presso l’Institute of Psychiatry, Kings College di Londra
Murray, che ha iniziato la sua attività come psichiatra nel 1972, descrive il passaggio della psichiatria statunitense a metà degli anni ’70 “dall’essere totalmente psicoanalitica a quasi completamente biologica”.

Da questo cambiamento, c’è stata una maggiore concentrazione sul ruolo della dopamina e sui fattori genetici nella “schizofrenia”.

Durante gli anni ’70, la “schizofrenia” cominciò ad essere considerata una malattia neurodegenerativa.
Questa teoria era supportata da uno studio che aveva rilevato un aumento del volume dei ventricoli nel cervello degli individui con diagnosi di “schizofrenia”.

Murray si rammarica del fatto che lui e molti altri abbiano ignorato un altro studio pubblicato all’incirca nello stesso periodo, che rilevava come l’uso a lungo termine dei farmaci antipsicotici potesse portare a cambiamenti cerebrali persistenti, principalmente nella sensibilità dei recettori della dopamina e che possono portare alla discinesia tardiva.

È stato nel 2008, quando uno studio più recente mostrava gli effetti dei farmaci antipsicotici sul volume ventricolare, che Murray ha iniziato a prestare attenzione agli effetti a lungo termine dell’uso degli antipsicotici.

Egli afferma:

“Quindi, nel 2016, è chiaro che gli antipsicotici ad alte dosi contribuiscono non ai piccoli cambiamenti cerebrali presenti all’inizio della schizofrenia, ma ai successivi cambiamenti progressivi.”

Murray analizza anche la teoria dello sviluppo neurologico della schizofrenia “l’idea che il disturbo sia causato da problemi durante la nascita e lo sviluppo precoce”. Ora, Murray si riferisce a questa teoria come una “sopravvalutazione” delle prove.

Murray discute anche della supersensibilità alla dopamina, sul fatto che il trattamento con antipsicotici a lungo termine può portare ad un aumento dei recettori della dopamina, il ché aumenta la sensibilità alla dopamina e diminuisce l’efficacia dei farmaci antipsicotici.

Afferma: “Aumentiamo la possibilità che i farmaci antipsicotici possano rendere alcuni pazienti schizofrenici più vulnerabili alle ricadute future rispetto a quanto accadrebbe nel corso naturale della malattia”.

Murray crede nell’uso dei farmaci antipsicotici per trattare la schizofrenia, ma è diventato più cauto nel suo uso a lungo termine, dicendo:

“Non c’è dubbio che gli antipsicotici sono necessari nella psicosi attiva acuta. Ma dobbiamo forse continuare a prescriverli in alcuni pazienti perché abbiamo reso il recettore D2 [dopamina] supersensibile all’eccesso di dopamina rilasciato? Io, e in effetti la maggior parte dei ricercatori, ho trascurato questa questione di vitale importanza”.

Murray afferma che si aspetta che il concetto di “schizofrenia” come disordine astratto divenga obsoleto, proprio come “idropisia”.

Scrive:
“Nei decenni successivi al 1976, ho trascorso più tempo ed energie di quanto vorrei ricordare, cercando di scoprire cosa causava i cambiamenti cerebrali nella schizofrenia”.

Purtroppo, non mi sono reso conto che gli effetti di fattori di rischio come eventi avversi alla nascita o struttura e funzione del cervello che possono essere facilmente osservati nei campioni di soggetti non schizofrenici, sono nascosti nelle persone con schizofrenia dall’effetto degli antipsicotici ed altri fattori di rischio.

È significativo che uno psichiatra di primo piano ammetta gli errori psichiatrici e chieda maggiori ricerche su fattori ambientali ed epigenetici. Questo potrebbe indicare un cambiamento nel campo della psichiatria se gli altri seguissero la guida di Murray.

Conclude:

“Se avessi la possibilità di avere una seconda carriera, mi impegnerei di più a non seguire la moda del gregge.
Gli errori che ho commesso, almeno quelli che ho intuito, di solito sono il risultato di una eccessiva adesione all’ortodossia dominante”.

Articolo originale in inglese: vai all’articolo

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17-18-19 Maggio. Dentro le voci: trauma, emozioni e psicopatologia tra l’età pediatrica ed adulta

Federico Bergna · 22/01/2019 · Lascia un commento

Manifesto evento sentire le voci

L’evento si terrà a Brescia – Centro Paolo VI – Via Calini Gezio, 30

Tre giorni dedicati al mondo delle “voci”, ovvero le allucinazioni uditive e visive, di cui ci occupiamo da oltre vent’anni. “Dentro le voci” è un evento nazionale accreditato al rilascio dei crediti ECM (16,8 crediti) . Puoi formarti con i maggiori esperti in Italia di trattamento delle “voci” e di varie forme di allucinazioni.

Assisterai a tavole rotonde, talk, e corsi di formazione sugli approcci interpretativi, diagnostici e di presa in carico dei disturbi mentali-schizofrenici-esistenziali.

Potrai seguire un corso che prende in considerazione gli aspetti medici, fisiologici, psicologici, sociali, e familiari che contribuiscono a definire una “dimensione unica e irripetibile”.
La trasversalità dei contenuti, i bisogni, le proposte esposte e le pratiche di intervento saranno chiare, lineari, oltre che reali.

SCARICA IL PROGRAMMA DEI 3 GIORNI: programma_Brescia-sentire-voci

SCARICA IL MODULO DI ISCRIZIONE AL CONVEGNO: modulo-iscrizione-convegno-dentro-le-voci

ULTERIORI INFORMAZIONI DAL SITO UFFICIALE: https://www.sentirelevoci.it/landing-dentro-le-voci/

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Di Giorgio Antonucci: gli psicofarmaci sono dannosi punto e basta.

Federico Bergna · 20/11/2018 · Lascia un commento

Estratto di un intervista a Giorgio Antonucci (medico e psicanalista). Intervista realizzata da Michele Mezzanotte. Fonte, articolo e intervista integrale dal sito: “GLI PSICOFARMACI SONO DANNOSI PUNTO E BASTA. GIORGIO ANTONUCCI È MORTO, MA LE SUE IDEE NO”

“Io penso che gli psicofarmaci non servano a nulla, se non ad intossicare l’organismo.

Ho sempre lottato e discusso con le persone che ho incontrato nei manicomi al fine di togliere dalla loro vita gli psicofarmaci. Per un problema psicologico servono analisi e dialogo, come aveva ben sottolineato Freud con il suo lavoro. Il problema psicologico non richiede intossicazione e non richiede il drogarsi. Il farmaco è una droga legalizzata.

Edelweiss Cotti era lungimirante a tal proposito e tolse subito gli psicofarmaci dai suoi istituti. Senza psicofarmaci le persone sono lucide, discutono e sono avvantaggiate nella cura.

Gli psicofarmaci sono dannosi punto e basta.

Nelle cliniche psichiatriche di oggi le persone giovani vengono sottoposte a grandi quantità di psicofarmaci. A causa di questi sopraggiunge a volte il tremito parkinsoniano perché intossicano le vie nervose. Inoltre più prendono psicofarmaci, più si riducono male; più si riducono male, più gli psichiatri dicono che sono inguaribili, più la situazione peggiora.

Io ho visto persone che da anni prendevano psicofarmaci e che sono venute con me in parlamento europeo a difendere i loro diritti. Le persone spesso vengono messe nell’impossibilità di vivere in queste cliniche o negli ospedali.

Lo psicofarmaco è terribile come la castrazione, l’elettroshock, la lobotomia, ed altre nefandezze perpetuate nei manicomi.

Io, Cotti, ed altri, abbiamo detto che non bisogna sistemare la psichiatria, ma bisogna proprio eliminarla. La psichiatria è un metodo di controllo terribile e violento. Bisogna aprire un dialogo filosofico e socratico con le persone. Quella di Freud fu una grande rivoluzione. Si passò dal paziente-oggetto al paziente-soggetto interagendo reciprocamente attraverso la dialettica.”

AVVISO PER IL LETTORE: tutti gli articoli presenti su questo sito, non vengono realizzati da alcun nostro autore (ad eccezione degli articoli sotto la categoria “storytelling”). Ci limitiamo nel riportare su questo sito, materiale informativo reperito in rete citando la fonte di provenienza. Avvisiamo quindi il lettore nel valutare con distacco le informazioni qui reperibili in quanto non possiamo garantire la veridicità delle informazioni riguardo le fonti di provenienza.

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